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lunedì 11 gennaio 2016

quest'uomo ha cambiato la mia vita.


E non per modo di dire. Quest'uomo ha realmente cambiato la mia vita.
Innanzitutto catapultandomi ancora praticamente bambino nel mondo della musica pop internazionale, della dimestichezza con la quale avrei poi fatto una professione. Per lustri. 
Mi ha spinto ad imparare una lingua in modo assolutamente autodidatta (se aspettavo la scuola stavo fresco) per il folle desiderio di comprendere ogni parola, ogni sfumatura delle sue canzoni.
Mi ha fatto decidere di visitare Londra, la città che ai miei occhi di giovanissimo fan era praticamente solo la città di David Bowie, esperienza che mise totalmente a soqquadro la mia personalità ancor prima che la mia esistenza.
Mi ha fatto scoprire il mondo delle arti visive, la teatralità, l'espressione corporea attraverso il suo amore per Linday Kemp che, zainetto in spalla, andai a vedere a Roma nel suo magnifico "Flowers" già a 16 anni, o il genio visionario di Andy Warhol e della sua pittoresca combriccola, specie il Paul Morrissey dei film, vaccinandomi indelebilmente ai Bud Spencer & Terence Hill o ai Tomas Milian che a quei tempi furoreggiavano tra i miei coetanei (e già era andata di lusso se non era Alvaro Vitali).
E soprattutto mi ha suggerito la risposta alla noiosissima domanda che da pre-adolescente già mi sentivo porre con zelante insistenza: "sei gay? Sei questo? Sei quello?", in genere con una terminologia assai meno gentile.
Sono quello che cazzo mi pare senza che debba prendermi il disturbo di darti spiegazioni.
Con una forza, una decisione, una risolutezza che ancora oggi mi stupisco di aver avuto.
Perciò si, quest'uomo ha cambiato la mia vita.
Non a caso solo pochi giorni fa, in occasione del suo compleanno, avevo pubblicato una sua foto dallo schedario dell'FBI in occasione di un arresto per droga nel 76 sottolineando come Bowie riuscisse ad apparire fantastico anche in momenti non esattamente glamour.
E fantastico è il termine pertinente. Non un'iperbole.
Era come se un'aura surreale, siderale, distante, eterea lo circondasse. Sempre.
E furono delle immagini a farmelo scoprire. Su una rivista di mia sorella.
E fu shock. E amore a prima vista (va da se che a quel punto mi sarebbe piaciuta qualsiasi cagata avesse cantato o suonato. Puro culo perciò che invece ci abbia trovato l'artista che aveva appena partorito capolavori come "Hunky dory" o "The Rise and Fall of Ziggy Stardust"). Credo che oggi, nel 2016, sia difficile da immaginare cosa potesse significare trovarsi davanti agli occhi delle immagini di Bowie, tipo nel 74. Fino a una manciata di anni prima era bastato il patetico caschetto dei Beatles (e dello stesso Bowie non ancora Bowie) a mettere in subbuglio il mondo intero.
E per giunta io non ero un glamour-dandy che si sollazzava tra un drink e l'altro a King's Road.
Io ero un ragazzino che aveva appena terminato la quinta elementare in un piccolo centro della Maremma.
Considera che stiamo parlando di un mondo, quello del rock, che terribilmente omofobo e sessista lo è tutt'oggi. E che allora era anche incatenato all'ammorbante clichè del virtuosismo, dell'assolo di chitarra, di chi fosse il più grande tastierista del mondo, di Palmer che aveva o non aveva esitato un nano-secondo nell'ennesimo pallosissimo assolo di batteria, etc. 
A Bowie va attribuito l'incommensurabile merito di aver spazzato via in un solo istante anni di sta merda logorroica, cosa di cui il punk gli sarebbe stato decisamente riconoscente. 
Lui invece non era neppure un grande strumentista, per sua stessa ammissione. Si definiva una mezza pippa in tutti e tre gli strumenti che suonava abitualmente, a partire dal sax.
Era un cantante dalle mille sfumature ma allo stesso con una demarcazione così nitida, così specifica da finire impressa nella storia della musica moderna. Ma diciamocelo, vocalmente non era Elton John o Paul Mc Cartney. 
Era invece un genio assoluto: innovatore, manipolatore, ingestibile, imprevedibile e non catalogabile, solo per caso finito al servizio di un'arte reputata "minore".
Mi faceva incazzare. Non facevi in tempo ad innamorarti di un disco, di un tipo di sonorità, di uno stile, di un'identità musicale, che ne arrivava uno nuovo che sembrava fatto da qualcun altro.
Se solo avesse insistito un po' di più sulle atmosfere di Ziggy Stardust o Aladdin Sane, oggi la contabilità sarebbe persino più generosa dei 140 milioni di dischi venduti nel mondo. 
Se avesse dato un seguito all'elegantissimo soul-pop sfacciatamente America-friendly di "Let's Dance" forse non sarebbe proprio questo album il suo best seller assoluto.
Macchè: non facevi in tempo a lasciarti ipnotizzare da Lady Grinning Soul o dalla seduzione scanzonata di Sorrow che ti pioveva tra capo e collo il soul extra-lusso di Young Americans: dagli  Spiders al fior fiore dei turnisti del  Philly Sound. Saltino niente male. Ma nonostante tutto tu capitolavi, e mentre avevi ancora nelle orecchie la sensualità sussurrata di Can You Hear Me e godevi come un pazzo, ti pioveva addosso Low, un album che impiegai mesi 
solo a capire che cazzo era. 
Confesso che non fossi esattamente un entusiasta dei suoi ormai leggendari "Changes".
Sono timoroso dei cambiamenti per indole e avrei solo voluto avere più tempo per metabolizzare ogni suo acrobatico salto da un universo all'altro, da un'identità artistica all'altra, da un modo stesso di concepire la musica all'altro. 
Ma lui era già andato avanti. Lui era sempre già andato avanti.
Credo onestamente che Bowie con una sola copertina abbia significato per la causa gay (oggi si direbbe LGTB ma a me st'accrocchio di consonanti sta sulla fava) più di mille associazioni e movimenti, pur con tutta la riconoscenza che so di dover loro.
Noi fans sapevamo benissimo che la cosa della "bisessualità" era una stronzata.
Noi avevamo nelle orecchie la zuccherosa cantilena pro-famigliola felice  Kooks, dedicata al figlio che allora pora stella si chiamava ancora Zowie Bowie e non Duncan Jones come più sobriamente avrebbe deciso in seguito di ribattezzarsi, 
noi avevamo sottopelle le fantastiche parole d'amore per una donna scritte e cantate in molte sue canzoni. Pur con la religiosa gratitudine per veri e propri inni come Queen Bitch, John I'm Only Dancing, Rebel Rebel o l'epica Width of a circle, sapevamo perfettamente che era Ziggy Stardust il bisessuale. Ma se per questo anche l'extraterrestre. E il suicida. Mica Bowie. 
Ma c'è un'intera generazione di uomini gay che ha imparato grazie a lui a dare la risposta di cui sopra all'odiosa domanda di cui sopra. E certo che si: questo me lo ha fatto amare immensamente di più. Più di mille Drive-in saturday, che pure adoravo.
Pur con lo strazio nel cuore oggi sono felice di vedere la sua morte come prima notizia in tutti i tg e in tutti i siti del mondo, persino davanti a notizie oggettivamente di primaria importanza e con una costante: la parola leggenda.
Perchè io l'ho scoperto e amato quando internet non c'era, quando i network radiofonici non c'erano, quando MTV non c'era, quando You Tube non c'era, quando per scovare una notizia, un'informazione, una posizione in classifica avevi solo un paio di programmi specializzati nei canali radio Rai relegati a orari impossibili, che io ascoltavo comprimendomi un piccolo apparecchio sulle orecchie sotto il cuscino per non rompere i coglioni a tutta la camerata di fratelli e sorelle. 
Ogni singola immagine che specialmente oggi vedo spiattellata in ogni dove sul web mi fa dire: cazzo, avrei dato un dito per averla allora.
E diciamocelo: a quei tempi credo che fossero in molti a considerarmi quello un po' sciroccato con il diario scolastico letteralmente impestato di foto di "quello che si trucca".
Per questo il tributo che oggi il mondo intero gli sta pagando mi onora. 
Onora me.
Solo l'8 gennaio, giorno del suo sessantanovesimo compleanno, parte del grande battage per l'uscita del suo nuovo album era la notizia che a quel disco sarebbe seguito il definitivo ritiro dalle scene.
Non che noi fans della vecchia guardia gli avessimo dato troppa importanza.
Annunciare strazianti ritiri dalle scene era la cosa che David Bowie sapeva fare meglio. 
Oltre ai dischi.
E a cambiare la vita dei ragazzotti di provincia.

i miei vinili originali di Bowie, che stamattina ho sentito il desiderio di sparpagliare sul tavolo.


a tribute. No copyright infringement intended.

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