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sabato 5 aprile 2014

se ti do il pelo tu che mi dai..

il ministro Poletti suggerisce che chi riceve per esempio un sussidio di disoccupazione dovrebbe in qualche modo "restituire il piacere" facendo una specie di servizio civile (lui lo chiama servizio comunitario). E che anzi già esiste realmente un progetto in questo senso. 
Quello che Poletti invece non dice è che uno stato dovrebbe educare i propri cittadini a farlo lo stesso, questo "servizio civile", che a casa mia si chiama volontariato. Perchè se io devo mettermi a distribuire pasti dietro il banco di una Caritas perchè lo stato mi paga la disoccupazione, allora questo si chiama fare un servizio, appunto. Un servizio in cambio di qualcosa. 
Mentre il volontariato lo si dovrebbe fare comunque, e soprattutto in cambio di niente. Solo perchè non siamo soli nella giungla e viviamo in una comunità, e dovremmo perciò avvertire distintamente l'esigenza di dedicare un po' del nostro tempo, anche poco, alla stessa. Perchè in una società dove ognuno pensa solo al proprio orticello c'è qualcosa di profondamente malato. 
Se si vive in una comunità non avvertendo l'esigenza di mettersi un minimo a disposizione, allora si è totalmente sprovvisti del senso di comunità. E questo è un obbrobrio che ha generato la società di grandissimi figli di mignotta che siamo diventati. Il volontariato non si impone, non si prezzola, non si chiede. Due soldi a chi non lavora andrebbero dati semplicemente perchè se la gente non ha soldi da spendere l'economia si impalla, boccheggia, muore. E mi sfugge chi avrebbe da guadagnarci da una situazione del genere. 
E se il risultato di tutto questo "nuovo", di tutta questa "rottamazione" è un governo che chiede "servizi civili" in cambio dei soldi per campare a cui tutti hanno diritto, allora a me viene molta voglia di fare volontariato. In Burkina Faso, però.




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